La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati (2013)

In linea generale, quando voglio guardare un film che sia leggero e piacevole, ci metto tantissimo tempo a sceglierlo, semplicemente perchè ogni pellicola nasconde delle insidie. Personalmente ho difficoltà a guardare commedie volgari o sguaiate, così come non mi piacciono nemmeno quelle commedie che non hanno un minimo di senso o di messaggio. Diciamo che, se voglio spegnere il cervello completamente, preferisco guardarmi un horrorino adolescenziale senza pretese - tipo "Obbligo o verità", di una stupidità indicibile, ma io l'ho proprio trovato spassoso per il momento in cui lo vidi - oppure un film action, come ad esempio la recente visione de "Il giorno sbagliato". Sabato scorso, in tarda serata, ho però optato per "La sedia della felicità", ultimo film diretto da Carlo Mazzacurati e presentato al Torino Film Festival nel 2013, uscito poi postumo nelle sale italiane dopo la morte del regista. I protagonisti della vicenda sono interpretati da Valerio Mastandrea, attore che mi ha quasi sempre dato soddisfazioni, e da Isabella Ragonese, che invece venero, non state qui a chiedermi troppo i motivi. Nel cast però ci sono un sacco di nomi noti della commedia italiana contemporanea, non solo cinematografici, come Giuseppe Battiston e Silvio Orlando, ma anche provenienti da altre realtà, come ad esempio Raul Cremona e Marco Marzocca.

Bruna è la titolare di uno studio di estetisti in crisi, che fatica a pagare i propri debiti ed è sempre in lotta con i creditori. Tradita dal suo fidanzato e rimasta completamente sola, ella riceve una confessione in punto di morte da una sua cliente, cui spesso Bruna va a fare visita in carcere: Norma Pecche, questo il suo nome, è la madre di un famigerato bandito che ha nascosto un tesoro in gioielli in una delle sedie del suo salotto. Partita alla volta della villa per cercare questa fortuna, Bruna si trova presto in difficoltà, ma in suo soccorso arriva Dino, il tatuatore che lavore nel negozio di fianco, che in qualche modo finisce coinvolto nella ricerca del tesoro di diamanti promesso dalla signora.

Approcciando alla visione de "La sedia della felicità", come già detto, speravo di trovarmi davanti ad una pellicola leggera leggera, ma in grado comunque di dare qualche spunto di riflessione e di narrare una storia in qualche modo godibile. La prima parte grazie ad un inizio abbastanza promettente ci porta subito, senza troppi fronzoli, alla presentazione dei due protagonisti e del canovaccio attorno cui ruota la trama. Subito però ci sono state delle avvisaglie poco gradite, come la scena grottesca in cui i creditori si presentano da Bruna e la sua collega si attacca alla gamba di uno di loro per impedirgli di sequestrare i macchinari, scena che poi verrà ripetuta almeno una seconda e forse addirittura una terza volta. Un'avvisaglia che poi un po' si è confermata durante la visione: la pellicola infatti alterna a momendi leggeri e spensierati, altri momenti grotteschi e non-sense che mi hanno completamente spezzato l'attenzione. Da fan del non-sense, io non ho mezze misure in questo senso, purtroppo: o fin dall'inizio della pellicola mi si fa capire che ci saranno momenti spiazzanti, oppure ci si mantiene su terreni decisamente meno scivolosi.

Ecco, è stata proprio la mezza misura in questo senso a non permettermi di apprezzare appieno la visione di questa pellicola, della quale subito si capisce dove andrà a parare nel finale - che per caso i due protagonisti si innamoreranno e la sedia della felicità cui fa riferimento il titolo era solo una metafora? Ma non mi dire - e presenta tutta una sequela di personaggi bizzarri che nelle intenzioni del regista probabilmente dovevano fungere da macchiette comiche, ma risultano essere talmente tanti che è anche difficile sorridere quando vengono presentati. "La sedia della felicità" non è un disastro cinematografico, anzi, a livello di leggerezza il suo lavoro lo fa anche, senza infamia e senza lode. Sono però la narrazione eccessivamente spezzettata e dei momenti comici non particolarmente efficaci a non avermelo fatto apprezzare nemmeno in una serata in cui era chiara la mia intenzione di spegnere il cervello.

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