This Must be the Place (2011)
Titolo Originale: This Must be the Place
Regia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Cast: Sean Penn, Frances McDormand, Judd Hirsch, Eve Hewson, Kerry Condon, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten, Olwen Fouéré, Shea Whigham, Heinz Lieven, David Byrne, Liron Levo, Simon Delaney, Fritz Weaver, Sam Keeley, Grant Goodman, Gordon Michaels, Seth Adkins, Madge Levinson, Johnny Ward, Davis Gloff, Ron CodenDurata: 118 minuti
Genere: Drammatico
Sempre nell'ambito del +Cineforum Vimodrone , iniziativa nata soltanto due mesi fa e che sta avendo un successo di pubblico inaspettato, ecco che mi viene proposta la visione di un film di Paolo Sorrentino che mi ero colpevolmente perso nell'anno della sua uscita e che ancora non ero riuscito a recuperare. Quale occasione migliore dunque che partecipare ad una discussione dopo la visione del film, per capirne al meglio i contenuti e il messaggio? D'altronde, tra le cose che sostengo fermamente dopo la visione di qualche film del regista in questione, sta il fatto che Sorrentino sia un regista particolarmente enigmatico che da una parte può essere il suo più grande difetto, mentre dall'altra anche il suo grande pregio. Chi può dire con certezza di avere compreso il messaggio de "La grande bellezza" o anche dell'ultimo "Youth - La giovinezza"? Secondo me nessuno, semplicemente perchè il cinema di Sorrentino punta all'interpretazione personale, tanto che in realtà nel dare una chiave di lettura ai suoi film non ci si dovrebbe tanto interessare a ciò che avrebbe voluto dire il regista, ma concentrarsi maggiormente a ciò che ha recepito il pubblico del suo messaggio. E questa enigmaticità, seppure alla fine della visione mi ritrovi sempre a pensare di non aver capito nulla, mi lascia quasi sempre una sensazione piacevole: da una parte la freddezza de "La grande bellezza" aveva dato modo di concentrarsi sulle immagini e sulla scenografia, dall'altra in "Youth - La giovinezza" - che non ho gradito come gli altri - ci si lasciava andare a interessanti riflessioni sul tempo che scorre.
In realtà "This Must be the Place" - primo film per Sorrentino con un cast internazionale - è una pellicola molto più emozionale delle due citate messe assieme, motivo per cui è stata anche quella che mi ha più impressionato e toccato nel profondo. Viene narrata la storia di Cheyenne, interpretato da un pazzesco Sean Penn, una ex rock star in crisi per motivi che scopriremo nel corso della pellicola. La sua vita procede nella noia della routine, mentre tenta di riflettere un po' sulla sua carriera e un po' sugli errori commessi nel corso della sua vita. Va ancora in giro truccato come si presentava ai suoi concerti, dimostrando in realtà di non aver mai voluto abbandonare quella parte della sua vita. Vita che prenderà una sterzata clamorosa nel momento in cui verrà contattato a causa dello stato di salute del padre, che ha passato gli ultimi anni della sua vita cercando il carceriere tedesco che lo aveva umiliato in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Il desiderio di vendetta del padre diventerà, nel momento della sua morte, la missione di vita di Cheyenne, che sentirà in qualche modo di dovere al suo padre la vendetta tanto desiderata.
Il film procede in un crescendo di emozioni e sensazioni assecondando un po' quelli che sono i canoni del road movie, lasciandosi però andare a momenti anche più leggeri e divertenti, in quanto il protagonista dà quasi l'impressione di essere un po' fuori dal mondo. Eppure i suoi pensieri, le sue opinioni, la sua filosofia di vita sono davvero molto interessanti e ci fanno capire, pian piano, come andrà a finire l'intera vicenda. Cheyenne è un personaggio che ha bisogno di crescere, di distaccarsi da una vita che gli ha dato un successo che però non lo ha mai soddisfatto del tutto, di affrontare quelle che sono le sue paure e i suoi demoni interiori. E Sean Penn risulta perfetto nell'interpretare un personaggio che ha vissuto una vita non certo semplice, ma che comunque ha ancora bisogno di quel salto di qualità. La sua vendetta, che non è in realtà nemmeno sua, ma di qualcun altro, è un po' la rappresentazione della sua intera vita e quando arriverà il momento tanto desiderato diventeremo noi spettatori davvero coscienti della sua crescita personale.
Da brividi poi è anche tutto il comparto tecnico della pellicola, con la regia a cui Sorrentino ci ha abituato, grazie ad inquadrature ricercate e che sembrano volerci raccontare una storia, volerci dare una chiave di lettura. In questo illuminante è stato l'intervento di una persona del pubblico che ha sottolineato come l'uso delle inquadrature dall'alto riesca a dare allo spettatore la sensazione di estraniamento dal mondo che prova il protagonista. Così come enigmatica ma alquanto interessante - anche se ancora la devo capire - la scena in cui Cheyenne dà un passaggio a un capo indiano che, a un certo punto, gli chiede di fermarsi per inoltrarsi nei campi. Così come poi anche la colonna sonora che attinge a piene mani dal repertorio dei Talkin' Heads - a cui appartiene anche il brano che dà il titolo al film e che viene cantata da un bambino con accompagnamento dello stesso Cheyenne - e da canzoni rock diventate di culto nel corso degli anni.
Voto: 9
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