Il silenzio della città bianca di Daniel Calparsoro (2019)



Spagna 2019
Titolo Originale: El silencio de la ciudad blanca
Sceneggiatura: Roger Danès
Durata: 110 minuti
Genere: Thriller


Allora qui le cose in queste ultime settimane si stanno facendo difficili. La mancanza di nuove uscite al cinema costringe, fondamentalmente, a fare una delle due cose seguenti: recuperare film più datati, oppure affidarsi agli originali di Netflix, piattaforma di streaming che immagino verrà fortemente stuprata dai suoi utenti nel corso di questo periodo di quarantena forzata. C'è da dire che per quanto riguarda le produzioni originali di Netflix si va spesso incontro a due possibilità: una è legata al fatto che spesso e volentieri Netflix diventa la raccolta dell'umido di tutti quei film che le major cinematografiche non vogliono produrre, ma, così facendo, a volte capitano anche lavori di altissima qualità come ad esempio "The Irishman", "I due papi" o "Klaus - I segreti del Natale", l'altra sono le produzioni pensate appositamente per la piattaforma, tra le quali è decisamente più difficile trovare qualcosa di davvero buono. Tra le varie proposte adocchiate nel corso degli ultimi giorni abbiamo "Il silenzio della città bianca", film spagnolo tratto da un best seller piuttosto famoso in patria, primo capitolo della "Trilogia della città bianca", scritto da Eva García Sáenz de Urturi . Il film invece è diretto da Daniel Calparsoro, regista di una decina di film, pochi dei quali arrivati in Italia, mentre i protagonisti sono interpretati da Belen Rueda, Javier Rey e Itziar Ituño, che personalmente non conosco.
La storia è ambientata a Vitoria, sono passati venti anni dall'ultimo omicidio di un serial killer, che ormai si trova in prigione dopo aver confessato il suo coinvolgimento in essi. In una situazione totalmente tranquilla, però, un serial killer che utilizza lo stesso modus operandi comincerà a colpire di nuovo, facendo pensare alla polizia la presenza di un imitatore oppure il fatto di non aver catturato, a suo tempo, la persona giusta. Gli omicidi seguono uno schema ben preciso: viene sempre uccisa una coppia di persone, un maschio e una femmina, che vengono messi in posizioni particolari in modo da lasciare un messaggio. Le vittime, inoltre, da un'omicidio all'altro, hanno cinque anni di differenza: le primissime vittime erano state due neonati e così via, arrivando a quelle attuali, che hanno vent'anni. L'omicidio di due ventenni attira l'attenzione del profiler Unai Ayala e della detective Alba Savatierra che si metteranno alla ricerca del cosiddetto Killer dei Dormienti.
Avevo delle buone aspettative su questo film, anche solamente leggendone la trama fornita da Netflix e vedendone il trailer prima di concedergli una visione, aspettative che in qualche modo sono state disattese. Premettendo il fatto di non trovarci davanti ad un film completamente da buttare, mi sono trovato davanti ad una visione di un film a due facce: la prima è quella con cui viene presentato, un thriller dallo svolgimento veloce, che ricorda nello schema narrativo i romanzi di Dan Brown - che per quanto mi riguarda col tempo sono andati abbastanza calando, ma questo è un altro discorso - e in cui i vari omicidi a cui lo spettatore viene messo davanti comunicano un simbolismo attraverso il quale potrebbe essere possibile leggerne dei messaggi per lo spettatore, un qualcosa quasi di esoterico; la seconda è quella per cui, dopo averne visto la faccia con cui il film viene presentato, cerchi un po' di conoscerlo e di capirlo ed è qui che vi sono i veri e propri dolori. Dopo qualche minuto di visione, appena comincia il vero e proprio secondo atto del film, vengono a galla tutta una serie di magagne che rendono la narrazione eccessivamente spezzettata e criptica, ora, sapete bene che io non sono uno di quelli che il film, quando lo guardo, mi deve dire tutto, mi piace anche cercare di capire cosa volesse dirmi il regista, ma è un'elaborazione che devo fare da solo, non con l'aiuto di un libretto di istruzioni. Per questo film, per comprendere a fondo i vari passaggi narrativi - che poi, in fin dei conti, portano a capirci qualcosa, è innegabile - ho avuto bisogno del cosiddetto libretto di istruzioni, il che vuol dire che il film non mi ha dato gli strumenti per dare una mia interpretazione, nè mi ha fatto venire voglia di sforzarmi per trovarne una. Tanto per fare un esempio, "La casa di Jack" è un film che richiede da parte dello spettatore uno sforzo interpretativo, sforzo che però dopo la visione ho avuto voglia di fare, aiutandomi con qualche "libretto di istruzioni", ma non affidandomi completamente ad essi, "Il silenzio della città bianca" - per cui ovviamente i paragoni con il film di Lars von Trier citato non sussistono - non mi ha fatto venire nessuna voglia, motivo per cui non ritengo che il film abbia funzionato.
Ho visto dunque il film ispirato da un buon trailer e sperando in un thriller adrenalinico, ma mi sono ritrovato davanti ad una mezza delusione, ad un pasticcio narrativo in cui la regia, estremamente semplice e quasi televisiva, penso sia il male minore, anche perchè secondo me in certi casi se la sceneggiatura è coinvolgente il lavoro di regia può passare in secondo piano. Il problema è che abbiamo un film che si presenta in un modo, con tutte le buone premesse del caso, per poi rivelarsi addirittura complesso da seguire e, a tratti, anche abbastanza noiosetto.

Voto: 5

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