INGMAR BERGMAN DAY - Il settimo sigillo (1957)
Oggi, 14 Luglio 2018, cade il centenario dalla nascita di Ingmar Bergman, colui che è considerato come uno dei più grandi registi della storia del cinema. E siccome la solita cricca di blogger a volte è anche occasione per scoprire coloro che hanno fatto la storia, ma che, per un motivo o per l'altro, non si è mai riusciti a fruire - ammetto di non aver mai visto nessun film di Ingmar Bergman, quindi questo film sarebbe pure quasi adatto per la rubrica sui fake rewatch -, ecco che io decido di avvicinarmi al regista, con la speranza di farlo magari nuovamente in futuro, con quello che è senza ombra di dubbio il suo film più conosciuto. È tempo dunque di celebrare il centenario della nascita di Ingmar Bergman, con la mia recensione de "Il settimo sigillo" e poi anche con tutte le altre degli altri appartenenti alla cricca!
Svezia 1957
Titolo Originale: Det sjunde inseglet
Regia: Ingmar Bergman
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Cast: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson, Inga Landgré, Gunnel Lindblom, Bertil Anderberg, Anders Ek, Åke Fridell, Gunnar Olsson, Erik Strandmark
Durata: 96 minuti
Genere: Drammatico, Storico
"Il settimo sigillo" è uno di quei film che vorrei vedere da tantissimo tempo che, per un motivo o per l'altro, ho continuato a rimandare a lungo, un po' per paura della materia a cui mi sarei trovato davanti e un po' per paura di non essere pronto ad affrontare un film del genere. Siccome però, checchè se ne dica quando si guarda un film, sono estremamente convinto che non esistano film per pochi o film che non sono per tutti, vista l'occasione della celebrazione del centenario di Ingmar Bergman proposta da Mary del blog "Redrumia", ho deciso, finalmente, di guardare quello che è sicuramente il film più conosciuto del regista con al suo interno una delle immagini più famose che riguarda il tentativo umano di fronteggiare la morte, ovvero la famosissima partita a scacchi tra il protagonista e la Morte.
La trama de "Il settimo sigillo", a grandi linee, la conoscono anche i sassi: Antonius Block, interpretato da Max von Sydow, è un nobile cavaliere che torna dalle crociate in Terra Santa nella sua terra, una Danimarca messa in ginocchio dalla peste. Una volta arrivato sulla spiaggia, trova ad attenderlo la Morte, interpretata da Bengt Ekerot, che ha deciso di portarlo con sè proprio in quel momento. Per avere salva la vita, o anche solo per guadagnare del tempo per sistemare le sue questioni personali, Antonius decide di sfidare la Morte ad una partita a scacchi, con la partita che si svolgerà nel corso di vari incontri, mentre il cavaliere, accompagnato dal suo scudiero Jöns, interpretato da Gunnar Björnstrand, attraversa la Danimarca, incontrando varie persone che, per paura della morte, tentano in qualche modo di esorcizzarla e di espiare i propri peccati attraverso riti purificatori.
È assolutamente vero che "Il settimo sigillo" non sia un film facile: l'incedere della narrazione è lento e riflessivo e i personaggi sono quanto di più sfaccettato si possa vedere in un film, analizzati in maniera magistrale dal regista che dà loro una personalità perfettamente delineata e il tutto viene reso in un film che dura poco più di un'ora e mezza. Siamo davanti ad un film sulla fede che mostra, nel corso di tutta la sua durata, da un lato come le varie persone incontrate dai due protagonisti si pongano davanti alla morte - un tema che qui viene ambientato nel quattordicesimo secolo, ma che è sempre attualissimo - vista l'epidemia di peste che sta devastando la nazione. Tra chi si affida a riti superstiziosi per espiare i propri peccati ed avere salva la vita e chi, convinto che non ci sia più nulla da fare, si dedica ai piaceri terreni, sono ancora una volta Antonius e il suo scudiero a riassumere i due diversi atteggiamenti verso la fede che incontriamo nel corso della pellicola: il primo è sempre in preda ai dubbi, che vengono ancora di più rafforzati dall'incontro con la Morte, riflette molto sulla sua esistenza e si pone interrogativi ai quali probabilmente non troverà mai risposta; il secondo invece è ironico, spavaldo e razionale e i due personaggi si completano a vicenda soprattutto caratterialmente. La Morte poi è posta davanti allo spettatore in tutta la sua crudeltà, anche se poi, nel momento in cui viene impersonificata, questa si mostra in un modo che sì, mette una certa inquietudine, ma nei dialoghi si dimostra completamente scevra di qualsiasi tipo di sentimento, come è giusto che sia, d'altronde.
Essendo Ingmar Bergman nato come regista teatrale, anche il film risente della sua preparazione: prevalgono le inquadrature fisse, i movimenti di macchina sono al minimo sindacale e le inquadrature sono spesso e volentieri piuttosto luminose, nonostante il bianco e nero riesce ad esaltare i volti dei protagonisti spesso visti in primo piano proprio per trasmettere, al massimo, le proprie emozioni agli spettatori. Se "Il settimo sigillo" è diventato senza ombra di dubbio uno dei più grandi classici della storia del cinema e a ragione anche il film più famoso del regista è sicuramente per la sua qualità, rimasta intatta negli anni - il film ne ha ben sessantuno! - e soprattutto per aver messo in scena quella che è diventata nel corso degli anni, la più grande e famosa metafora sulla morte, che sinceramente non so quanto fosse utilizzata prima dell'avvento di questo film.
Hanno partecipato alla rassegna anche i seguenti blogger amici:
Redrumia - Luci d'inverno
Obsidian Mirror - L'ora del lupo
Director's Cult - Persona
Solaris - Un'estate d'amore
Bollalmanacco - Fanny e Alexander
Sono d'accordissimo: in effetti è un film dalla visione tutt'altro che facile, che risente molto della messinscena di chiara derivazione teatrale. Paradossalmente, pur essendo il film più conosciuto di Bergman, è forse quello che è invecchiato peggio, mentre i piccoli film intimisti e personali degli esordi mantengono ancora oggi intatta la loro freschezza. Lodevole iniziativa comunque, alla quale sono contentissimo di aver partecipato!
RispondiEliminaComplimenti per il coraggio che hai avuto nell'affrontare il film più apocalittico e simbolico di Bergman! Non saprei dirti se davvero questo sia il film d Bergamn che è invecchiato peggio, ma anche se fosse a me va bene così.
RispondiEliminaI film di Ingmar Bergman dovrebbero essere studiati al posto dell'ora di religione. E' interessante vedere come un regista alla fine laico, utilizzi il suo retaggio culturale religioso per porsi domande sulla vita e la morte. Dovrei rivederlo per vedere se è invecchiato male o meno. Ma la scena finale però rimane sempre uno spettacolo da vedere!
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